Per un terreno fertile

Bambini piccoli e scenate in pubblico: io speriamo che me la cavo

Ci sono due luoghi in particolare che sono per me, da prima ancora di avere figli, la location perfetta per i più terrificanti film d’horror sulla disfatta della mamma: il supermercato e i trasporti pubblici.

Forse è per questo mio sconsiderato terrore delle scenate disperate di un bambino nei centri commerciali, che mi faceva tanto ridere la pubblicità un tantino di cattivo gusto dei condom. Sì, sì, quella che chiosava un bimbo che si gettava per terra urlando: “VOGLIO LE CARAMMMMMMELLLEEEEEE!!!” con la scritta “Usa i preservativi”. Continua a leggere “Bambini piccoli e scenate in pubblico: io speriamo che me la cavo”

Semi di meraviglia: esperienze

Siete stupendamente stupendosi! Compiti a casa per tutti.

Compitino. Oggi mettetevi in un punto della città dal quale potete osservare i passanti senza dare troppo nell’occhio, che so, la terrazza di un caffè, una panchina, la fermata di un autobus. Per ogni persona, ma proprio ognuna – non imbrogliate! – sulla quale posate lo sguardo, impegnatevi a trovare, sinceramente, qualcosa che vi piaccia. Che sia anche solo quel suo modo di camminare o di portare la borsetta, o quella quasi impercettibile fossetta sul mento. E finché questo qualcosa non lo avete trovato, non rinunciate. Imparare l’arte dei dettagli, dell’entrare in empatia, del lasciar cadere le quotidiane abitudini alla critica o all’indifferenza, non è sempre così immediato.

IMG_7682Cinque minuti saranno sufficienti. Poi tornate domani. E dopodomani. Quando vi rendete conto che ormai a colpo d’occhio potreste elogiare qualsiasi passante con una osservazione positiva sincera, siete pronti per la fase due: elargire complimenti gratuiti.

Da solo o in gruppo, prendete un cartone e scriveteci sopra, con la vostra più gioiosa calligrafia, “complimenti gratuiti“. Andate nella via più affollata che vi viene in mente, o in quella più romantica (evitate quelle buie e paurose che potrebbero intimidire le persone) e guardando negli occhi i passanti, dite loro quello che pensate.

Siate sinceri. Siate generosi. Dimenticate voi stessi per donarvi un istante all’altro, uomo o donna, giovane o anziano, fashion o démodé, zoppo, zozzo o zoticone che sia.

Molti non vi crederanno. Siamo in una società in cui il benessere è uno dei più redditizi business, figuriamoci se uno elargisce complimenti sinceri e gratuiti. 

Ma molti sorrideranno, se ne andranno col loro regalo, una carezza verbale che, a volte inavvertitamente, ha il potere di cambiare l’umore di una cattiva giornata.

Il gruppo di improvvisazione dei MarDéliriens l’ha fatto, e qualcosa mi dice che lo rifarà ancora, perché la cosa sorprendente dell’esperienza è che trasmettere energie positive ha lo straordinario potere di predisporre positivamente e di appagare emotivamente anche il donatore. photo_groupe

La penso in modo leggermente diverso per quanto riguarda gli elogi nell’educazione dei bambini, ma questa è un’altra storia, e ne parlerò in un altro articolo.

E fino a quel momento… senza inibizioni, posso sventatamente dichiarare che siete tutti – grandi e piccini – tutti! formidabili, meravigliosamente meravigliosi, stupendamente stupendosi e anche un tantino favolevolmente favolosi!

Per un terreno fertile

E da un pugno chiuso una carezza nascerà

Sì sì, mi sento dire: “A volte la mano prude“.

Capelli arruffati, acufene derivante dai gridi acuti del pupetto, tic all’occhio come quello dello scoiattolino dell’Era Glaciale, vestiti stropicciati dai tentativi di calmarlo. Dov’è finito il tuo irresistibile aplomb? Il tuo stile inconfondibile? Il tuo sguardo calmo e misterioso? Maria Montessori diceva che i bambini sono i nostri Maestri. Questi cosetti che troviamo tanto dipendenti dalla nostra infinita saggezza ed esperienza di vita verrebbero al mondo per obbligarci a confrontarci con i nostri limiti e diventare migliori.

Oggi è proprio il giorno in cui il tuo piccolo prof. ti invita a esplorare nuove possibilità e provare a trasformare quel pugno chiuso che prude tanto e che tra-un-po’-guarda-se-non-la-smetti-diventa-un-bel-ceffone, in un’opportunità di carezza.

Ma come?

Partirei dalle tre tappe di Céline Alvarez. Avete un bimbo piccolo in preda ad una crisi? Inutile provare a ragionarci: la sua corteccia prefrontale, sede delle emozioni, non è ancora sviluppata e in questo momento là dentro c’è un putiferio, folletti fosforescenti che ballano l’alligalli e vulcani in piena esplosione. La prima azione da compiere è compatirlo, consolarlo, prenderlo tra le braccia, confortarlo (“Ti capisco!“, implicitamente “Ti amo e sto con te anche se non sono d’accordo con quello che hai fatto“). Qualsiasi altra azione rischierebbe di peggiorare la situazione. Passata questa delicata fase, il bambino si calma, è il momento di nominare le emozioni che ha provato (“sei tanto arrabbiato?” – da evitare il sottotesto: “perché vorresti strafogarti il pacchetto di caramelline gommose di gelatina di topo di fogna?”). La terza fase è quella della risoluzione del problema, magari proponendogli delle alternative o cercando di trovarle insieme (se vi sputa in faccia a mo’ di mitragliatrice le uvette che gli  avete proposto, mantenete la calma e ricordatevi che il sentiero del successo è cosparso di cacche di pecora…). In questo modo, se dovesse funzionare, il bambino si senterà capito, prenderà confidenza con le sue stesse emozioni – queste sconosciute – e si sentirà rispettato.

Il Dott. Haim Ginott, seguendo le stesse linee guida, propone soluzioni per fissare limiti invitando alla cooperazione. Il principio di base è di utilizzare un linguaggio positivo. In questo caso, l’ordine delle proposte non è per forza cronologico come invece per le tre tappe di Alvarez:

  • Riconoscere e riformulare il desiderio del bambino (“Sembri proprio arrabbiato con mamma“)
  • Ricordare le regole (“Ti ricordi che abbiamo stabilito non più di X caramelline, vero?”)
  • Cambiare la direzione dell’azione o proporgli soluzioni (“ti va di cucinare una superciambella insieme?“, “usciamo a fare un giro?“)
  • Avere compassione per la frustrazione del bambino (“Ti sarebbe piaciuto tanto mangiare ancora caramelline! Come lo capisco, piacciono anche a me tanto! Se non facessero così male! Hai voglia di dirmi o disegnarmi quanto sei arrabbiato?“).

Uno strumento che può risultare estremamente prezioso, e non solo nel bel mezzo di una crisi, è senza dubbio l’ascolto empatico o attivo.

Il principio è quello di indossare, come direbbe Rosenberg, nel suo Il linguaggio giraffa. Una comunicazione collegata alla vita, le orecchie da giraffa (l’animale chgiraffa_cuore_libro2e ha il cuore più grande di tutti), ossia ascoltare senza pregiudizi, in modo amorevole, per fare in modo che il bambino si senta capito, confortato e non sminuito nel suo dispiacere e in questo modo sviluppi l’autostima necessaria per trovare da solo una soluzione. Vediamo un esempio calcato sulla nostra situazione citata precedentemente:

“Bambino: Dammi! Ancora! Cattiva!

Mamma: Sei arrabbiato perché vorresti ancora caramelle?

Bambino: Sì, non mi fai mai finire il pacchetto!

Mamma: Ti piacerebbe mangiarne a sazietà e io ti impedisco di farlo perché ho paura che ti faranno venire il mal di pancia…

Bambino: Sì!

Mamma: E come facciamo?

Bambino: Io le mangio e tu non guardi!

Mamma: Ma poi avrai comunque male al pancino. Ti ricordi l’ultima volta che ti ha fatto male, quando eravamo in montagna?

Bambino: Sì…

Mamma: Ci sono altre cose che ti farebbe piacere mangiare e che non ti facciano male al pancino?

Bambino: Sì, la macedonia!

Mamma: La facciamo insieme?

Qualsiasi sia il percorso che scegliamo per trasformare il nostro pugno in una carezza non scordiamoci che viviamo un’occasione imperdibile per imparare qualcosa e posare un mattone nella costruzione della nostra relazione col bambino, armiamoci di pazienza, indossiamo le orecchie da giraffa e se il primo tentativo non va come vorremmo, soprattutto, non arrendiamoci.