Nella scuola montessoriana dove collaboro, mi è stato chiesto l’anno scorso di occuparmi del capitolo delle “buone maniere”, perché sarei stata, secondo la direzione, la persona più adatta a tale scopo. Ho storto il naso e dopo aver riflettuto seriamente a come avrei potuto proporlo, ho lasciato perdere. Da una parte perché, nell’idea di buone maniere c’è una formalità con la quale non vado molto d’accordo, dall’altra perché, i modi che mi venivano in mente, avrebbero, a mio avviso, dato piuttosto voglia di infrangerle che di rispettarle.
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Picconate per l’uguale dignità.
“Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo“.
(Epitaffio sulla tomba di Maria Montessori)
Se da una parte trovo che sia un segnale positivo questo interesse crescente per una pedagogia più attenta alle esigenze del bambino, dall’altra sono disturbata da una serie di fattori che vanno dalla strumentalizzazione alla banalizzazione degli insegnamenti che personalità, per me degne di nota, come Montressori e Juul (per citarne solo due) ci hanno lasciato. Pare che oggi venga definita “disciplina dolce“, termine che non mi piace affatto ma che userò qui per essere più rapidamente compresa. Sento spesso frasi del tipo “Mi sono messa alla disciplina dolce ma con mio figlio non funziona!“, “è un metodo che risulta dal sempre crescente lassismo dei genitori moderni“, “una scusa per non entrare in conflitto“, “con me ha funzionato benissimo, mio figlio mi ubbidisce che è un piacere!“. Mi intristisco, perché mi rendo conto che questo così prezioso interesse per il bambino, parte da presupposti sbagliati e diventa fenomeno di moda, come l’uso che viene fatto dell’educazione alle emozioni, spesso un discorso solo di facciata, superficiale, a cui manca la necessaria riflessione e formazione per farne uno strumento di crescita (dell’adulto come del bambino).
Eppure questa cosiddetta “disciplina dolce” è un’opportunità di salvezza per la nostra società. Montessori già ce lo diceva, che qui v’è la sola possibilità per un avvenire di pace tra i popoli, perché sì, è a loro che l’avvenire appartiene.
Non si tratta semplicemente di applicare un metodo, ma di destrutturare e abbattere tutti (e dico tutti…) gli schemi nei quali siamo imprigionati da secoli. Schemi che vedono gli esseri umani su una scala gerarchica, guidati dall’autorità, dalla paura, dall’obbedienza. In casa come fuori, le pedine si muovono sulla scacchiera secondo giochi di potere più o meno complessi e articolati.
Si prende il cambiamento dal lato sbagliato, mettendo delle pezze invece di lavorare alla costruzione di quello che M. Montessori chiamava “l’uomo nuovo“.
Certo. Meglio questo che niente?
Penso alla legge promulgata in Francia quest’anno per rendere perseguibile la violenza ordinaria contro i bambini e mi chiedo se sia meglio questo che niente. Ma come è possibile che viviamo ancora in una società che considera la sculacciata come un buon metodo educativo, che ha ottimi risultati e che non ha mai fatto male a nessuno? (Se lo pensate, date una sfogliata, tanto per cominciare, a Alfie Kohn, Amarli senza se e senza ma. Dalla logica dei premi e delle punizioni a quella dell’amore e della ragione). E che cambiamenti profondi societari ci aspettiamo se l’unico modo che si riesce ad immaginare per sradicare certe convinzioni si traduce con una legge?

Eliminare la violenza “educativa” senza aver scardinato le convinzioni che rendono plausibile questo atteggiamento nei confronti di un altro essere umano, non faranno che sostituire questa violenza (quando davvero una legge basta a sostituirla) fisica in psicologica.
Finché non pianteremo in noi stessi e nella nostra educazione i semi di una comunità di uguale dignità, in cui bambini e adolescenti siano considerati validi membri, continueremo ad alimentare una società aggressiva. Continueremo a cercare un “metodo che funziona” per farci ubbidire dai bambini (offendendone la loro dignità) invece di concentrarci sulla relazione che vogliamo creare con loro (anche attraversando i conflitti).
J. Juul propone un modello di leadership condivisa che reputo molto interessante:
“In termini di educazione, la leadership condivisa ha come punto di partenza il concetto che sia genitori sia i figli abbiano necessità e limiti diversi, che non siano basati sul consenso dei genitori riguardo ai limiti e alle regole, ma sul principio che ogni individuo deve essere considerato con serietà. Questa può essere definita una “famiglia post-democratica”, nella quale si dà più importanza al processo decisionale che non alla decisione, e nella quale la minoranza è coinvolta, e non marginalizzata“.
Ora scusate, ma devo andare a prendere il piccone e continuare a lavorare su me stessa, ché c’è tanto da fare e il tempo è poco, così terribilmente poco…
L’insostenibile responsabilità dell’esser genitore
Un pensiero che rumina in me da quando sono diventata mamma è la consapevolezza della responsabilità che m’incombe: come crescere mio figlio affinché la sua natura si riveli e come, al contempo, riuscire a trasmettergli quei valori (primo tra tutti, il rispetto di se stesso e dell’altro) che sono per me imprescindibili.
Un pensiero che rumina in me da quando sono diventata mamma è la consapevolezza della responsabilità che m’incombe: come crescere mio figlio affinché la sua natura si riveli e come, al contempo, riuscire a trasmettergli quei valori (primo tra tutti, il rispetto di se stesso e dell’altro) che sono per me imprescindibili.
Attraversando la lettura dei suoi libri, Maria Montessori me lo ripete così spesso: il bambino nasconde già in sé l’enigma dell’uomo (e della donna) che sarà; il rivelarsi di questo meraviglioso enigma è appeso al fragile filo messo in pericolo dall’interventismo dell’adulto (che sarei io…) che, peccando di superbia si considera come il
“Plasmatore del bambino, e il costruttore della sua vita psichica […]. E ha pensato di se stesso ciò che è detto nella Genesi: “Io creerò l’uomo a mia immagine e somiglianza“. (Montessori, Il bambino in famiglia
).
Dici facile, Maria. Essere genitore vuol dire scavare all’interno della propria infanzia con tutte le conseguenze dolorose e psicanalitiche che tale viaggio comporta, ripercorrerla cercando di ricordarsi come il nostro modo di vedere il mondo fosse diverso, sviluppare quell’empatia che non solo permetta di capire e accettare i tempi e modi di questa nuova creatura, ma proprio di tornare a divertirsi condividendo quei tempi e quei modi. Come mi ha proposto pochi giorni fa mio figlio, ricordarmi che mettere le dita nel fango, scava dentro ad anni di educazione all’igiene, pigrizia degli adulti (sporcarsi significa che qualcuno debba poi pulire), false paure che inibiscono il piacere di toccare la vita, che a volte è sporca, umida e viscida, come il fango nel fondo di una torbida pozzanghera.

Essere genitore è un atto politico perché su di noi incombe anche la responsabilità di che mondo lasceremo ai nostri figli e di che figli lasceremo al mondo. Me lo dici e me lo ripeti, cara Maria, nel tuo Educazione per un mondo nuovo:
“Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo, e di conseguenza la società“.
Ma io sono figlia di questa società che produce armi invece di cultura, che maschera l’ingiustizia chiamandola democrazia e libertà, che si ciba della miseria dei tanti tenendo viva la fiamma della paura, solo per alimentare l’opulenza dei pochi, che parla e agisce con violenza, che il più grande periodo di “pace” che ha saputo offrire al popolo, l’ha chiamato “Guerra fredda”. Come posso disfare questo castello di menzogne, dissipare la nebbia per vedere il giusto e proporlo a mio figlio? Sono solo una mamma, dove trovare tanta intelligenza, tanta cultura, tanta saggezza?
Esser genitore vuol dire avere la forza e l’umiltà di ricostruirsi. Destrutturare il linguaggio e il pensiero nella ricerca del giusto modo di esprimersi e di pensare, abbandonando i retaggi di una parte della nostra educazione, recuperandone altri che abbiamo perso per strada. Cerco ad esempio, bimbo mio, cadendo nella trappola mille e mille volte, di non dirti bravo (Mamma non mi dire bravo e Autostima e fiducia in se stessi) né capriccioso (I capricci non esistono, Capricci o campanelli d’allarme?) di non giudicare te ma i tuoi comportamenti, di esprimere i miei sentimenti e di cercare di nominare i tuoi (Bambini piccoli scenate in pubblico e Perché è così importante riconoscere le emozioni?), di ricordarmi ogni giorno (questo mi è per fortuna ancora facile) il miracolo che rappresenti nella mia vita, e di come debba essere difficile, per te, crescere (Crescere figli nella gioia e Il segreto per passare una fantastica giornata in famiglia).
Quanto tempo ho per imparare ad essere genitore? È già troppo tardi? Chi riparerà i miei torti?
Tu stesso, lo so, figlio mio. Sappi che io ce la sto mettendo tutta. Che è un viaggio incredibile. Che mi stai permettendo di diventare una persona migliore. La strada è impervia e, per non smarrirmi, cerco di starti il più vicino possibile, tu che sei la torcia, di ascoltarti, tu che sai, di approfittare della tua saggezza per crescere ancora un po’. Rubarti quella leggerezza che solo tu sai regalare così, riempiendo il tempo e lo spazio della tua risata e del tuo buonumore.
Favorire la capacità di concentrazione nei bambini
Figli iperattivi. Incapaci di focalizzare l’attenzione. Incapaci di restare concentrati.
Se ne sente parlare sempre più spesso e, senza entrare nel merito dei disturbi dell’apprendimento, che necessitano un riconoscimento e un accompagnamento adeguati, la capacità di prestare attenzione può essere favorita. Per questo, vorrei riportare alcune riflessioni proposte da M. Montessori e M. Csíkszentmihályi in merito alla concentrazione e come coltivarla e preservarla nei bambini. Continua a leggere “Favorire la capacità di concentrazione nei bambini”
Capricci, capricci! O campanelli d’allarme?
Continuo la mia escursione attraverso le parole di pensatori che si approcciano al bambino ed al fenomeno pompa-energie comunemente definito come “capriccio”. Combatto già da qualche articolo la loro esistenza (intesa come rifiuto insensato di seguire la logica adulta), accompagnata dai punti di vista di studiosi del capriccio e delle neuroscienze (I capricci non esistono). Oggi, immersa nella magnifica lettura de Il segreto dell’infanzia di Maria Montessori, mi servo della sua ispirazione per aggiungere un mattone alla costruzione di una visione del bambino più attenta al suo mondo interiore. Ho già citato precedentemente l’immaturità cerebrale (in particolare dell’area prefrontale) dei piccoli di uomo, che comportano un’esplosiva difficile gestione delle emozioni e che rendono quindi spettacolari le loro reazioni (Bambini piccoli e scenate in pubblico: io speriamo che me la cavo).
In questa sede, vorrei introdurre il concetto di periodi sensibili. Continua a leggere “Capricci, capricci! O campanelli d’allarme?”