Per un terreno fertile

I quattro pilastri dell’apprendimento

Vi invito, se non lo avete ancora mai fatto, a partecipare al test sull’attenzione selettiva. Dura un minuto e lo trovate qui. Fatto? Ecco, ora mi sarà più facile introdurvi il primo dei quattro pilastri sul quale si poggia l’apprendimento, alla luce degli ultimi studi sulle neuroscienze, ben definiti da Stanislas Dehaene nel suo ultimo libro uscito in francese pochi giorni fa Apprendre ! : Les talents du cerveau, le défi des machines (Imparare!: I talenti del cervello, la sfida delle macchine).

Il primo pilastro è infatti l’attenzione e opera, come avete potuto verificare in prima persona col test del gorilla, in modo selettivo: il fatto di focalizzare l’attenzione, banalmente, su uno stimolo ben preciso, rende ciechi ad altri stimoli. Questa semplice constatazione dovrebbe bastare ai genitori ed insegnanti, che hanno tendenza a dimenticare cosa voglia dire essere in posizione di non conoscenza, di ignoranza. Si dà facilmente per scontato che quello che noi vediamo, sia visto da tutti allo stesso modo e ci sfugge il fatto che un bambino possa semplicemente NON VEDERE (esattamente come per il gorilla) ciò che vorremmo imparasse. Scrive dunque Stanislas Dahaene:

“Se non si capisce a cosa si deve fare attenzione, non lo si vede e ciò che non si vede, non può essere imparato”.

Il secondo pilastro è la partecipazione attiva. Ben più efficace, ad esempio, per spiegare il concetto di energia cinetica e momento angolare, è il lasciar sperimentare gli allievi per dieci minuti con una ruota di bicicletta piuttosto che limitarsi, per gli stessi dieci minuti, a delle spiegazioni esclusivamente verbali.

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Il terzo pilastro è il riscontro sull’errore:

“La qualità e la precisione dei feedback che riceviamo, determinano la rapidità con la quale impariamo”.

L’autore porta come esempio il procedimento dei videogiochi che presentano una difficoltà limitata all’inizio, aumentandola gradatamente e alternando in seguito momenti più facili ad altri più difficoltosi: in questo modo si mantiene accettabile il livello di frustrazione, che, se troppo elevato, porterebbe ad un repentino abbandono. Questa tecnica dovrebbe far riflettere gli insegnanti che presentano sempre prove diverse, invece di ripeterle, permettendo così all’allievo di ripassare la stessa prova fino alla riuscita, motivandolo a continuare nell’apprendimento invece di alimentare il senso di inadeguatezza e il disamore per l’atto di imparare.

Il consolidamento, quarto pilastro, si basa sull’apprendimento scandito da intervalli e ripetizioni. Gli studi dimostrano che è molto più produttivo lasciare riposare il sapere, invece di accanirsi con estenuanti ripetizioni in un lasso limitato di tempo:

L’esperienza dimostra che si può triplicare l’efficacia della propria memoria quando si ripassa ad intervalli regolari piuttosto che provare ad imparare in una volta sola. La regola è semplice e tutti i musicisti la conoscono: meglio quindici minuti al giorno di lavoro tutti i giorni della settimana che due ore concentrate nella stessa giornata”.

In questa lista, manca, mi sembra, almeno in modo diretto, un riferimento alla meraviglia, al coinvolgimento emotivo.  La capacità di mantenere viva la curiosità dell’allievo, che può passare certo attraverso l’esperienza pratica, ma anche via la magia delle parole, l’entusiasmo della condivisione, la “coltivazione” dell’autostima che alimenta la fiamma della domanda, della ricerca, dell’apprendimento attivo durante tutta la vita. Ma non sono una neuroscienziata. Quindi, per il momento, accontentatevi di questi quattro pilastri.

 

Semi di meraviglia: esperienze

La bellezza e la ricchezza di vedere le cose in modo diverso. Un laboratorio per bambini.

Oggi, primo giorno di laboratorio con un gruppo di bambini e ragazzi da poco arrivati in Europa.
Emozionata come al mio primo giorno di scuola, quella sensazione mista di curiosità e timore che provo ad ogni inizio. Quali volti incontrerò? Piacerò loro? Provo a imprimere nella memoria questi primi momenti insieme, la difficoltà a pronunciare i nuovi nomi, che sembrano ora così difficili da ricordare, il modo che abbiamo di presentarci, stare insieme, troppo timidi o troppo estroversi, circospetti o iperattivi. Imprimere questi momenti per confrontarli con l’ultimo giorno, in cui ci saremo già raccontati alcuni segreti di quello che siamo e che amiamo fare e saremo tra di noi, semplici, rilassati, più noi stessi e forse, chissà, già un po’ nostalgici.

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Abbiamo fatto qualche gioco per rompere il ghiaccio e poi ho proposto loro una caccia al tesoro, facendo partecipare anche gli adulti e gli adolescenti che erano nell’edificio. Avevo paura che fosse troppo facile, o troppo difficile, che durasse troppo o troppo poco e invece è stato bellissimo. Bellissimo vedere lo stesso entusiasmo nei grandi e nei piccoli. Capire l’enigma, trovare l’indizio successivo, arrivare al tesoro, con gli occhi che brillano e le gambe che corrono.
Vederli divorare le scale urlando “Ho capito! Ho capito!“, vederli concentrati, malgrado le diverse età, intorno allo stesso foglietto, o toccando e guardando dappertutto per trovare l’indizio successivo.
È la prima volta che organizzo una caccia al tesoro e non penso sarà l’ultima.
È stato una grande gioia vederli riuniti, anche se molti non si conoscevano tra loro, uniti nella stessa avventura, con curiosità.
Il tesoro era un piccolo caleidoscopio per ogni avventuriero partecipante. E nel piccoli come nei grandi, il piacere di vedere la meraviglia negli occhi da bambino, quelli di oggi o quelli ritrovati per un attimo guardando dentro il vetrino deformante.

È l’inizio del nostro viaggio insieme, durante il quale esploreremo l’idea di come ciascuno vede le cose a modo suo, a seconda del punto o della prospettiva da cui guarda, della sensibilità, cultura, età, di colui/colei che osserva. Un invito a rispettare l’altro e a  curiosare nella sua visione, certo altrettanto caleidoscopica della nostra.

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Semi di meraviglia: esperienze

Viaggi low cost per passeggeri dalle orecchie grandi

Ieri sono stata invitata a leggere dei testi recentemente pubblicati da autori francofoni, in un contesto molto speciale: le stanze da letto di un castello. Non vi ho forse detto che negli ultimi anni, teatralmente, sono concentrata per la maggior parte del tempo su progetti di teatro dell’intimo.

Ma che sarà mai? In poche parole, si tratta di dispositivi scenici che, dimenticando la classica dinamica di attore al centro di un più o meno pomposo palcoscenico – con tutti i proiettori puntati su di lui – sposta l’attenzione sugli spettatori, che diventano attori attivi e partecipi del processo artistico e creativo. Per fare ciò, la vicinanza tra “accompagnatori artistici” e partecipanti si riduce al minimo. Talvolta scompare (si può parlare allora di teatro dell’invisibile).

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Ma devo dire non mi era ancora successo di ridurla così tanto… in una stanza da letto.

La scenografia creata da questa regale camera, il meraviglioso parco col laghetto che si invitava dalle ampie vetrate, la luce abbondante e generosa, un po’ filtrata dagli stipiti delle finestre, costituiva uno spazio intimo ma non sensuale. Un pubblico di bambini e adulti mi faceva compagnia (tranne per i testi un po’ trush, che ho lasciato per ultimi, avvertendo i genitori del bollino rosso…).

Ho avuto voglia di parlare di questa esperienza per tutte quelle orecchie attente, per quegli occhi a volte chiusi per meglio visualizzare il racconto, a volte sorridenti, a volte lucidi, così vicini e così partecipi, che mi sono stati regalati in questa bella domenica di autunno. Ancora una volta per me è stata la prova di come il racconto orale, in questo caso una lettura teatralizzata, ma non troppo, a voce alta, contenga tutti quegli ingredienti di curiosità che ricerco. La meraviglia, prodotta da un contesto scenografico di eccezione, hanno certamente dato una mano affinché la “magia”  avesse luogo, seppur così semplice, senza fuochi d’artificio, passeggera e leggera come una carezza che si dimentica subito, ma che ci lascia di buon umore tutta la giornata.

Questo articolo per ricordarmi che la meraviglia è più vicina di quanto a volte io non creda, in questa mia ricerca talvolta forse troppo con lo sguardo verso l’altrove.castello_parco

Leggiamo ad alta voce, ai nostri amici, ai nostri figli, ai passanti che hanno tempo e disponibilità. E facciamolo sotto un albero, dietro un lampione, su un tappeto di foglie rosse appena cadute. Leggiamo nella bellezza.

La nostra voce e l’immaginazione di chi ci ascolta faranno il resto.

In fondo, non ci vogliono così tanti soldi per viaggiare lontano.