Per un terreno fertile

Capricci, capricci! O campanelli d’allarme?

Continuo la mia escursione attraverso le parole di pensatori che si approcciano al bambino ed al fenomeno pompa-energie comunemente definito come “capriccio”. Combatto già da qualche articolo la loro esistenza (intesa come rifiuto insensato di seguire la logica adulta), accompagnata dai punti di vista di studiosi del capriccio e delle neuroscienze (I capricci non esistono). Oggi, immersa nella magnifica lettura de Il segreto dell’infanzia di Maria Montessori, mi servo della sua ispirazione per aggiungere un mattone alla costruzione di una visione del bambino più attenta al suo mondo interiore. Ho già citato precedentemente l’immaturità cerebrale (in particolare dell’area prefrontale) dei piccoli di uomo, che comportano un’esplosiva difficile gestione delle emozioni e che rendono quindi spettacolari le loro reazioni (Bambini piccoli e scenate in pubblico: io speriamo che me la cavo).

In questa sede, vorrei introdurre il concetto di periodi sensibili. Continua a leggere “Capricci, capricci! O campanelli d’allarme?”

Per un terreno fertile

Crescere figli nella gioia

Ho partecipato recentemente ad una conferenza della psicoterapeuta I. Filliozat, che cito già nel mio precedente post intitolato “Il segreto per trascorrere una fantastica giornata in famiglia“. Il tema di questo incontro era “Come educare i bambini nella gioia“. Continua a leggere “Crescere figli nella gioia”

Libri meravigliosi

La mia lista dei libri da leggere e raccontare ai nostri bambini

In seguito al post Favole da paura o paura delle favole? Ovvero: le storie devono spaventare i nostri bambini?, mi è stato chiesto quali fossero per me le favole che non fanno paura, che avessi voglia di leggere o raccontare ai pargoli che mi stanno intorno. Per rispondere a questa domanda, creo in questa pagina, nella categoria già esistente dei “libri meravigliosi“, una lista che arricchirò di volta in volta con le mie proposte.

Le mie “storie che non fanno paura”:
Continua a leggere “La mia lista dei libri da leggere e raccontare ai nostri bambini”

Per un terreno fertile

La ricerca del piacere, un ostacolo alla felicità?

Sono inciampata su alcuni articoli e conferenze di un signore americano, Robert Lustig, il cui cognome tradotto dal tedesco vuol dire “divertente”… Sig. Divertente…  Se poi si prende solo la prima parte “Lust”, senza la desinenza, sempre in tedesco, si ottiene la parola “piacere”. Sarà il destino iscritto per lui da generazioni, ad aver spinto questo endocrinologo infantile a concentrarsi sul piacere ed i suoi effetti?

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Per un terreno fertile

Bambini piccoli e scenate in pubblico: io speriamo che me la cavo

Ci sono due luoghi in particolare che sono per me, da prima ancora di avere figli, la location perfetta per i più terrificanti film d’horror sulla disfatta della mamma: il supermercato e i trasporti pubblici.

Forse è per questo mio sconsiderato terrore delle scenate disperate di un bambino nei centri commerciali, che mi faceva tanto ridere la pubblicità un tantino di cattivo gusto dei condom. Sì, sì, quella che chiosava un bimbo che si gettava per terra urlando: “VOGLIO LE CARAMMMMMMELLLEEEEEE!!!” con la scritta “Usa i preservativi”. Continua a leggere “Bambini piccoli e scenate in pubblico: io speriamo che me la cavo”

Semi di meraviglia: esperienze · Semi di meraviglia: il gioco

Il gioco delle tre figure per sviluppare l’empatia

Mi piace accorgermi, rileggendo appunti e propositi prima dell’inizio di un laboratorio, quanto le cose non vadano mai davvero come previsto. Potrebbe essere una constatazione destabilizzante, ma a me rassicura pensare che sono gli esseri umani presenti, con le loro personalità uniche, a determinare il corso delle cose, e non la mera limitata programmazione del mio cervello bisognoso di rassicurazioni.

All’inizio di questo laboratorio (di cui parlo qui), avevo deciso di lavorare al modo diverso di vedere il mondo, considerate le diverse nazionalità presenti, per questo abbiamo iniziato l’esplorazione con dei caleidoscopi. Avevo programmato originali escursioni tra cultura e parole d’altrove, e ci siamo invece ritrovati, con gusto, a giocare con la più universale delle materie: le emozioni. Il caleidoscopio ci ha mostrato la complessità delle declinazioni dell’emozione, che è possibile cioè che persone diverse provino emozioni diverse, anche se esposte alla stessa esperienza e che persino emozioni contrastanti convivano nello stesso individuo, nello stesso istante. Abbiamo scoperto che si può provare una grande tristezza ascoltando una musica gioiosa, che piangere può essere semplicemente la dolce impronta dell’amore (quando siamo, ad esempio, tristi perché la nostra adorata cuginetta se ne torna al suo paese dopo essere passata a trovarci).Schermata 2017-12-07 alle 18.13.45

Abbiamo scoperto che in tutto questo calderone, tra l’imparare a gestire le proprie emozioni e il capire quelle degli altri, si insinua una parolina magica, di cui avevo già parlato in questo articolo: l’empatia.

Sapersi mettere nella pelle dell‘altro, anche se apparentemente molto diverso da noi, essere capaci di immaginare quello che prova, anche se non ci troviamo nella sua posizione, saper guardare alla sua alterità con la stessa meraviglia che abbiamo guardando attraverso un caleidoscopio… ciò rappresenta, a mio avviso, un bel bagaglio di competenze per il benessere personale e collettivo.

Come siamo arrivati all’empatia? Continua a leggere “Il gioco delle tre figure per sviluppare l’empatia”

Per un terreno fertile

Il cerchio. Perché è la forma perfetta della pedagogia.

Il cerchio, in geometria piana, è costituito dall’insieme infinito dei punti equidistanti da un punto dato, detto centro. Già per Platone, espressione della perfezione; nel Medioevo simbolo dell’Assoluto. Se il triangolo unisce il terreno al divino, Dio è cerchio. Simbolo dell’infinito perché senza inizio e senza fine. Circolari le stagioni, le fasi lunari, le maree, l’alternarsi del sole e della luna.

Il cerchio è la forma perfetta della democrazia, non ha direzione, né orientamento. La forma che permette a tutti di essere esattamente nella stessa posizione degli altri, uguali, senza podio né gerarchia. Senza sforzi, tutti possono guardare tutti, tutti essere visti da tutti, in un’immediata intimità, che fonda il senso della comunità. Come dice Phyllis Curott, reinterpretato a modo mio, così come la base delle pentole è rotonda affinché il calore si distribuisca uniformemente, così nel cerchio le energie, gli umori, il calore circolano liberamente, senza dispersione.

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Ecco perché ci posizioniamo in cerchio, quando ci incontriamo per un laboratorio. La persona che guida il gruppo, sempre che ce ne sia bisogno (che sia l’animatore, l’insegnante, il mediatore, il rappresentante di classe), sta in piedi o si siede con gli altri, nella circonferenza. Ha diritto di parola esattamente come tutti. È forse il conduttore iniziale di energia, che lancia un’attività collettiva, rilancia o modera una discussione che ha bisogno di essere contenuta. Ma non v’è nulla, nel cerchio, della frontalità del professore che infonde la sua scienza negli astanti più o meno passivi. Nel cerchio non ci sono buchi, banchi vuoti. Il cerchio si stringe sempre intorno ai presenti. È la forma per eccellenza del momento presente. Del “siamo qui ed ora”, insieme, riuniti. Non c’è nulla da recuperare perché tutto circola e si ripete. Nulla si perde, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Il cerchio è la forma dell’accoglienza, dell’abbracciare. Dell’empatia. Nel cerchio, tutte le diversità non diventano uguali, ma parte integrante di esso.

Quando iniziamo un laboratorio, il cerchio è la forma che ci accoglie all’inizio e ci saluta alla fine. È così che ci scaldiamo prima di cominciare un corso di teatro, o di improvvisazione, o una qualsiasi altra attività. È la posizione migliore per dirsi come stiamo, cosa faremo. E la posizione migliore per dirsi come siamo stati, alla fine, le sensazioni provate, l’esperienza appena vissuta. Ritorni verbali che ci aiuteranno a costruire il nostro prossimo incontro, in un modo che, a partire dalla posizione dei nostri corpi nello spazio, si vuole il più collettivo possibile. Mettersi in cerchio è anche il modo più propizio per predisporsi positivamente nel ricomporre i pezzi del puzzle dopo una lite, un diverbio, un ostacolo relazionale: il luogo che fa entrare il circolare dei punti di vista per accoglierli, provare a capirli e ricominciare.

Su un palcoscenico – luogo di predilezione per il gioco di equilibri perpetuamente distrutti e catarticamente restaurati – il cerchio – sostanza dell’armonia – trova raramente il suo posto. Ma in sede di prove, laboratori, riscaldamento, preparazione degli attori, rappresenta sicuramente il momento chiave per una creazione teatrale collaborativa e serena. E penso che trovarsi almeno una volta nella giornata in questa posizione, farebbe del gran bene ad ogni tipologia di gruppo, di qualsiasi disciplina. Ma, per piacere, non intorno ad una tavola rotonda. Ché re Artù e i suoi cavalieri hanno fatto certo una sensazionale scoperta, smussando gli angoli delle chilometriche tavole rettangolari, in fondo alle quali principesse tristi chiedevano con voce fievole, se qualcuno potesse passar loro, cortesemente, il sale. Oggi, possiamo fare ancora un passo in avanti e offrirci all’altro, senza barricate. Magari in piedi, in modo che il nostro corpo sia sveglio ed attivo e che questo momento di condivisione sia vivo e pulsante. Duri esso anche solo il tempo di qualche respiro sincrono.

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Semi di meraviglia: parole al vento

Vorrei avere tante piccole orecchie per saperti ascoltare davvero.

Vorrei avere piccole orecchie in tutte le parti del mio corpo. Piccole orecchiette appiccicate agli occhi, alle mani, alla bocca (che facciano da ventosa per impedirmi di parlare prima di aver ascoltato), orecchiette (senza cime diorecchie_caleidoscopiche copie rapa) sui piedi, sotto le ascelle, tra i capelli, orecchie sulle mie orecchie, tra i denti come una foglia di insalata, tra le dita come un anello nuziale, ma soprattutto, soprattutto sul cuore. Perché lo so che nulla in te è “a casaccio”, e che quando ti agiti è perché non mi sono accorta che forse ti è caduto un microscopico pezzetto di carta con cui giocavi e non riesci più a recuperarlo, piccolo mio, o perché hai litigato col tuo amico immaginario, perché vedi e senti cose per cui le mie due vecchie orecchie raggrinzite sono troppo poche… la mia sensibilità alla percezione dei decibel troppo poco funzionale, di fronte alla tua iperricettività, la mia capacità di lasciarmi sorprendere dalle mille meraviglie che ci circondano, assopita. Tu che ti stupisci al suono della plastica che inavvertitamente ho strusciato. Tu che inarchi le ciglia per il suono di un’ambulanza in lontananza, che io manco avevo notato. Tu che trovi così terribilmente ilarante la pernacchietta che fanno le dita delle mani che fanno attrito contro le superfici o lo schiocco di un bacio tra mamma e papà. Tu che ascolti come una nenia le discussioni tra i tuoi genitori, analizzandone la melodia per capire se sorridere o fare la faccia preoccupata.orecchia_piccola

Tu mi ricordi che ho smesso di ascoltare. Che ho indossato filtri per proteggermi anche da tutto questo inquinamento sonoro, che per te invece è fonte di scoperta e di gioie auricolari. Mi ricordi che vorrei vederti inarcare le ciglia per il suono lontano di un pastore che chiama le pecore, o per il canto del gallo, o del vento tra le foglie, piuttosto che per la sirena della polizia e il clacson di automobilisti bloccati in un parcheggio.

Vorrei portarti altrove.

Vorrei avere tante piccole orecchie per sentire il mondo, meravigliosamente, come lo senti tu, amore della mamma.

Libri meravigliosi

“La Promenade de Petit Bonhomme”, una filastrocca per le vostre dita.

Premetto che si escludono, dallo scenario che segue, declinazioni erotiche (che sarebbero del tutto inappropriate in questa categoria di libri per bambini). Vi trovate rinchiusi in un ascensore per le prossime due ore. Nessun oggetto. Nessun gingillo che potrebbe aiutarvi a far passare il tempo più rapidamente, che so, un telefonino, un giornale, una penna, una pallina, un antistress, uno specchio nel quale schiacciarsi i punti neri… Una volta risolto un eventuale spettro di claustrofobia, vi accorgete che non siete soli.  Nello stesso ascensore bloccato siete in due, o in tre o persino in quattro. Di qualsiasi età voi siate, scoprite che tutti, immancabilmente, vi siete portati dietro due versatili strumenti per giocare: le vostre mani.

Come sarebbe a dire, “le vostre mani non sono un gioco?!”. E se dico morra cinese (anche conosciuto come carta, sasso, forbice)? E se dico Olio, sale e pepe? E la mano tua appoggiata alla mia, se riesco a schiaffeggiartela prima che la levi, vinco? E la montagna di mani, una sull’altra, alternate, che da sotto si appoggiano sopra e via via si impilano una sull’altra schiaffeggiando ben poco amabilmente quella in cima? (ehm… non ricordo perché questo gioco mi facesse tanto ridere…). E il gioco della scossa elettrica? (ci si prende per mano formando un cerchio; una prima persona stringe ad esempio la mano della persona alla sua sinistra, che a sua volta stringerà quella alla sua sinistra, facendo circolare sempre più rapidamente la “scossa elettrica” intorno al cerchio)… E Pari o dispari?

Le due ore trascorrono così senza nervosismi e senza panico. Grazie alla memoria dei giochi dell’infanzia, riaffiorati al momento giusto. È una gran bella cosa avere sempre a portata di mano (ahahah) tutti questi (e tanti altri) passatempo.

Trovo che oggi, avendo a disposizione tanti giochi (soprattutto tanta plastica), i bambini siano raramente invitati a esplorare questo tipo di intrattenimento per cui non si ha bisogno né di tanto spazio, né di accessori particolari.

È il motivo per il quale vi presento oggi un libro dall’idea semplice ma efficace, “promenade_petit_bonhomme2 La Promenade de Petit Bonhomme“. La trovo una divertente occasione per sensibilizzare i bambini al gioco con le mani. L’ometto di cui si fa riferimento nel titolo sono le dita della mano del narratore, che vengono invitate da un testo a mo’ di filastrocca, altrettanto semplice ed efficace, a compiere precise azioni. Le dita della mano, inizialmente certo quelle di un lettore adulto, potrebbero diventare poi quelle del bambino, attente alle indicazioni della voce narrante, o perché no, lasciate libere di inventare nuove peripezie, scivolando sui disegni ad ostacoli, affrontando in modi inaspettati un gatto gigante, mangiando un succulento pasto, inciampando sulla dunetta, saltando fossati… insomma… andando all’avventura. E un giorno le dita potrebbero essere quelle dell’adulto e del bambino, insieme, prima a saltellare tra una pagina e l’altra poi hop… fuori dalla pagina, alla scoperta del mondo. Perché sì, il vostro dito indice e il vostro dito medio formano due agilissime gambette capaci di attraversare, scavalcare, rotolare, pizzicare, schioccare, ticchettare, accavallare, accarezzare, toccare, indicare, strofinare qualsiasi angolo del pianeta. Se avete dubbi in proposito, lasciatevi guidare dai bambini. Una volta che avranno scoperto il potere camminante delle loro dita, ogni oggetto animato o inanimato sarà una magnifica superficie da calpestare.

Per questo mi piace questo libro. Perché rappresenta solo l’inizio, la prima scoperta, la prima proposta. Una porta che viene aperta per lasciare navigare l’immaginazione altrove, al di fuori del suo limitato formato cartaceo. Mi piace molto la frase finale (mi son permessa qualche licenza poetica nella traduzione), che invita ad uscire dal rassicurante contesto del libro, per inventarsi nuovi orizzonti:

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Dopo aver ben mangiato, l’ometto è spossato. Il libro allora chiudiamo, sul mio braccio cammina piano, e riposa fino a domani, stretto tra le mie mani”.

La Promenade de Petit Bonhomme: Une comptine à jouer avec la main” di Lucie Félix, purtroppo non tradotto in italiano (ma il vocabolario scelto è davvero molto semplice), è adatto ad essere letto a numerosi piccoli ascoltatori simultaneamente, poiché il testo in rima è stato stampato una volta dritto, per una lettura a due, fianco a fianco, e una volta rovesciato, per poter essere eventualmente tenuto capovolto verso l’esterno. Tanto, per le dita delle mani, nulla cambia se si saltella allegramente su una pagina rovesciata, e così, il pubblico può godersi per bene le immagini e il  narratore ditologante, può risparmiarsi acrobazie oculari.

Vi invito così, a mille spensierate passeggiate di dita coi vostri piccoli, con o senza questo libro.

Semi di meraviglia: esperienze

La bellezza e la ricchezza di vedere le cose in modo diverso. Un laboratorio per bambini.

Oggi, primo giorno di laboratorio con un gruppo di bambini e ragazzi da poco arrivati in Europa.
Emozionata come al mio primo giorno di scuola, quella sensazione mista di curiosità e timore che provo ad ogni inizio. Quali volti incontrerò? Piacerò loro? Provo a imprimere nella memoria questi primi momenti insieme, la difficoltà a pronunciare i nuovi nomi, che sembrano ora così difficili da ricordare, il modo che abbiamo di presentarci, stare insieme, troppo timidi o troppo estroversi, circospetti o iperattivi. Imprimere questi momenti per confrontarli con l’ultimo giorno, in cui ci saremo già raccontati alcuni segreti di quello che siamo e che amiamo fare e saremo tra di noi, semplici, rilassati, più noi stessi e forse, chissà, già un po’ nostalgici.

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Abbiamo fatto qualche gioco per rompere il ghiaccio e poi ho proposto loro una caccia al tesoro, facendo partecipare anche gli adulti e gli adolescenti che erano nell’edificio. Avevo paura che fosse troppo facile, o troppo difficile, che durasse troppo o troppo poco e invece è stato bellissimo. Bellissimo vedere lo stesso entusiasmo nei grandi e nei piccoli. Capire l’enigma, trovare l’indizio successivo, arrivare al tesoro, con gli occhi che brillano e le gambe che corrono.
Vederli divorare le scale urlando “Ho capito! Ho capito!“, vederli concentrati, malgrado le diverse età, intorno allo stesso foglietto, o toccando e guardando dappertutto per trovare l’indizio successivo.
È la prima volta che organizzo una caccia al tesoro e non penso sarà l’ultima.
È stato una grande gioia vederli riuniti, anche se molti non si conoscevano tra loro, uniti nella stessa avventura, con curiosità.
Il tesoro era un piccolo caleidoscopio per ogni avventuriero partecipante. E nel piccoli come nei grandi, il piacere di vedere la meraviglia negli occhi da bambino, quelli di oggi o quelli ritrovati per un attimo guardando dentro il vetrino deformante.

È l’inizio del nostro viaggio insieme, durante il quale esploreremo l’idea di come ciascuno vede le cose a modo suo, a seconda del punto o della prospettiva da cui guarda, della sensibilità, cultura, età, di colui/colei che osserva. Un invito a rispettare l’altro e a  curiosare nella sua visione, certo altrettanto caleidoscopica della nostra.

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