Per un terreno fertile

Il cerchio. Perché è la forma perfetta della pedagogia.

Il cerchio, in geometria piana, è costituito dall’insieme infinito dei punti equidistanti da un punto dato, detto centro. Già per Platone, espressione della perfezione; nel Medioevo simbolo dell’Assoluto. Se il triangolo unisce il terreno al divino, Dio è cerchio. Simbolo dell’infinito perché senza inizio e senza fine. Circolari le stagioni, le fasi lunari, le maree, l’alternarsi del sole e della luna.

Il cerchio è la forma perfetta della democrazia, non ha direzione, né orientamento. La forma che permette a tutti di essere esattamente nella stessa posizione degli altri, uguali, senza podio né gerarchia. Senza sforzi, tutti possono guardare tutti, tutti essere visti da tutti, in un’immediata intimità, che fonda il senso della comunità. Come dice Phyllis Curott, reinterpretato a modo mio, così come la base delle pentole è rotonda affinché il calore si distribuisca uniformemente, così nel cerchio le energie, gli umori, il calore circolano liberamente, senza dispersione.

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Ecco perché ci posizioniamo in cerchio, quando ci incontriamo per un laboratorio. La persona che guida il gruppo, sempre che ce ne sia bisogno (che sia l’animatore, l’insegnante, il mediatore, il rappresentante di classe), sta in piedi o si siede con gli altri, nella circonferenza. Ha diritto di parola esattamente come tutti. È forse il conduttore iniziale di energia, che lancia un’attività collettiva, rilancia o modera una discussione che ha bisogno di essere contenuta. Ma non v’è nulla, nel cerchio, della frontalità del professore che infonde la sua scienza negli astanti più o meno passivi. Nel cerchio non ci sono buchi, banchi vuoti. Il cerchio si stringe sempre intorno ai presenti. È la forma per eccellenza del momento presente. Del “siamo qui ed ora”, insieme, riuniti. Non c’è nulla da recuperare perché tutto circola e si ripete. Nulla si perde, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Il cerchio è la forma dell’accoglienza, dell’abbracciare. Dell’empatia. Nel cerchio, tutte le diversità non diventano uguali, ma parte integrante di esso.

Quando iniziamo un laboratorio, il cerchio è la forma che ci accoglie all’inizio e ci saluta alla fine. È così che ci scaldiamo prima di cominciare un corso di teatro, o di improvvisazione, o una qualsiasi altra attività. È la posizione migliore per dirsi come stiamo, cosa faremo. E la posizione migliore per dirsi come siamo stati, alla fine, le sensazioni provate, l’esperienza appena vissuta. Ritorni verbali che ci aiuteranno a costruire il nostro prossimo incontro, in un modo che, a partire dalla posizione dei nostri corpi nello spazio, si vuole il più collettivo possibile. Mettersi in cerchio è anche il modo più propizio per predisporsi positivamente nel ricomporre i pezzi del puzzle dopo una lite, un diverbio, un ostacolo relazionale: il luogo che fa entrare il circolare dei punti di vista per accoglierli, provare a capirli e ricominciare.

Su un palcoscenico – luogo di predilezione per il gioco di equilibri perpetuamente distrutti e catarticamente restaurati – il cerchio – sostanza dell’armonia – trova raramente il suo posto. Ma in sede di prove, laboratori, riscaldamento, preparazione degli attori, rappresenta sicuramente il momento chiave per una creazione teatrale collaborativa e serena. E penso che trovarsi almeno una volta nella giornata in questa posizione, farebbe del gran bene ad ogni tipologia di gruppo, di qualsiasi disciplina. Ma, per piacere, non intorno ad una tavola rotonda. Ché re Artù e i suoi cavalieri hanno fatto certo una sensazionale scoperta, smussando gli angoli delle chilometriche tavole rettangolari, in fondo alle quali principesse tristi chiedevano con voce fievole, se qualcuno potesse passar loro, cortesemente, il sale. Oggi, possiamo fare ancora un passo in avanti e offrirci all’altro, senza barricate. Magari in piedi, in modo che il nostro corpo sia sveglio ed attivo e che questo momento di condivisione sia vivo e pulsante. Duri esso anche solo il tempo di qualche respiro sincrono.

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Semi di meraviglia: esperienze · Semi di meraviglia: la risata

Ridere tanto per ridere: l’effetto domino.

Quando il neonato comincia ad indirizzare i suoi sorrisi agli esseri umani che lo circondano, inizia la sua vita sociale. Quando le sue risa echeggiano cristalline, oltre a riempire il mondo di una gioia che ci pulisce dalle brutture umane, si apre per lui il tempo del gioco. Col gioco, quello dell’imparare. Risata, gioco e apprendimento formano una catena che per nulla al mondo dovrebbe essere spezzata.

Per questo la risata merita una categoria a sé stante tra i “semi di meraviglia” che pianto in questo blog.

Sembra che un minuto di pazze risate equivalga a 45 minuti di rilassamento…
Con i miei allievi del gruppo di improvvisazione, ci siamo quindi offerti una sessione di risate nello spazio pubblico. Alcuni viaggiatori inconsapevoli si sono lasciati contagiare con piccoli sorrisi perplessi o grandi risate senza complessi. Altri, si sono furtivamente allontanati, presi dalla paura di trovarsi nel mezzo di un’inquietante e pericolosa psicosi collettiva…
A noi, ci ha fatto bene!

Guillaume di Baskerville: “Ma che cosa c’è di tanto terribile nel riso?”
Jorge: “Il riso uccide la paura. E senza la paura non ci può essere la fede. Senza la paura del demonio non c’è più necessità del timor di Dio.
Guillaume di Baskerville: “Però non puoi eliminare il riso eliminando questo libro.
Jorge: “No, certamente. Il riso resta lo sfogo dell’uomo volgare. Ma cosa succederebbe se per colpa di questo libro… uomini saggi andassero affermando che è possibile ridere di tutto? Possiamo ridere di Dio? Il mondo precipiterebbe nel caos.

Semi di meraviglia: esperienze

Un divertente caos per ricominciare

Si ricomincia col laboratorio di improvvisazione teatrale per adulti. Ancora immersa nella lettura di “Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie” di G. Rodari, per quest’inizio anno ho voluto sperimentare, applicando i suoi consigli sul raccontare, alla scena.impro da rodari1
Questi giochi sono stati un bel motore per inscenare storie completamente deliranti, senza capo né coda, in cui l’entusiasmo e la voglia di giocare l’hanno avuta vinta sul rigore e la logica. Fantasmi che non sanno di esserlo, sono andati a braccetto con Pamele Anderson fagocitate da presentatori improbabili; un fantomatico Titanic due è affondato tra le note di una canzoncina miserabile, mentre in TV ha fatto scalpore la scoperta degli effetti sostenibili e decisamente estetici del sudore umano.impro da rodari2
La settimana prossima ricuciamo un po’ i pezzi insieme e ci risistemiamo la cravatta, ma ieri è stato bello così, un cadavere squisito si è scolato il vino novello dell’improvvisazione, un modo tutto nostro per augurarci “buon inizio”. Vivo o no nella patria del surrealismo?

Semi di meraviglia: parole al vento

“Sì, vabbè, ma da uno a dieci, quanto mi dai?”. Bocciature e voti a scuola.

Non credo nei banchi di scuola che anchilosano i corpi fatti di movimento dei bambini;
imageNon credo nei voti, né positivi né negativi, che riducono il bambino ad una griglia numerica inibendo le potenzialità individuali; spezzando l’autostima; riducendo il piacere di imparare, al desiderio di una ricompensa o alla paura di una punizione; creando una società fondata sulla concorrenza e competizione (se c’è un migliore, c’è un peggiore);
Non credo nei programmi che non tengono conto della realtà, dei diversi tempi di apprendimento, delle reali esigenze e sete di conoscenza del bambino e del posto che il bambino occuperà nella società di domani;
imageNon credo nello studio delle materie prese individualmente, che chiudono il sapere in compartimenti stagni invece di valorizzare le infinite connessioni tra le scienze, tra le cose, che ci insegnano che siamo parte del tutto.
Sarei tentata di dire che non credo neanche nella scuola, ma da una parte sono consapevole che bisognerebbe rivoluzionare tutto il sistema, che, detta in modo riduttivo, bisognerebbe smettere di fondare (un esempio tra tanti) la nostra repubblica sul lavoro (e quale lavoro?) per incentrarla sull’essere umano, e dall’altra, so che ci sono delle buone alternative, già operative nel mondo, che tengono conto di tutti i “non credo” di cui sopra.
Penso all’asilo nel bosco, agli approcci pedagogici libertari, alla pedagogia Montessori, al sistema scolastico finlandese.
Proprio in Finlandia – per chi ama i migliori – già campione nella classifica internazionale Pisa, è in atto una riforma che prenderà ufficialmente inizio nel 2020, che prevede un radicale cambio di paradigma: via le materie, gli insegnanti diventeranno dei facilitatori per un apprendimento pluridisciplinare che vedrà incontrarsi, nello stesso momento, i saperi propedeutici ai temi trattati.
Questa nuova legge che crea tanta ansia e che abolisce le bocciature alle medie e alle elementari non è che una goccia nel mare, verso una scuola che diventi un bel posto dove imparare. Peccato che si tocchi la superficie senza intaccare il fondo del sistema. Peccato che si continua a insegnare in modo frontale, con bambini in esubero possibilmente inchiodati alle sedie. Togliere la bocciatura (senza tra l’altro eliminare i voti) è solo un modo di privare gli insegnanti di un’arma nella guerra del “devi imparare” (quello che dico io, come e quando lo dico io) tra allievi e professori.
Niente di nuovo, né di davvero buono dunque, per quegli insegnanti che nonostante gli infiniti ostacoli imposti dalla cultura imperante, riescono ugualmente a fare il loro mestiere con tanto amore da trapelare negli allievi, da trasmettere al di là delle righe dei quaderni, la bellezza rotonda dell’imparare cose nuove, dell’esplorare le possibilità di quella conoscenza non pedante che “li renderà liberi”.

Fa ancora eco in me il bambino che mi porta alla fine del corso di teatro un disegno. Con un gran sorriso me lo porge e mi dice: “È per te”
Io: “Grazie, che bello, questa sono io!”
Lui: “Da uno a dieci, quanto mi dai?”
Io: “…”
Io: “È un regalo, un gesto bellissimo, è un gesto di gentilezza, d’amore, come si fa a quantificare un sentimento?”
Lui: “Sì vabbè, però, quanto mi dai da uno a dieci?”

Libri meravigliosi

Il libro “Nascondino”, una mini-palestra per occhi curiosi

Con un titolo così – Nascondino – questo libro non poteva passare inosservato in un blog che si chiama “Tana libera per tutti”.
E sono contenta che la curiosità di aprirlo mi sia venuta, perso in quello scaffale della libreria strapieno di pagine e colori, perché è un bel libro.imageNon è ancora adatto al mio piccolo di nove mesi, ma lo tengo sicuramente a mente, in attesa del momento  propizio, perché è ben fatto, gioioso, curioso, allegro.
Aprendolo, lo sguardo si perde in disegni che ripetono lo stesso motivo, ricco abbastanza da poter già giocare a riconoscere i colori, le geometrie, le immagini proposte. Ma poi, se si affonda un po’ lo sguardo, si scopre un dettaglio, uno solo, che differisce dagli altri. Ecco perché un titolo così, a nascondersi non son bambini ma particolari che un occhio attento deve svelare: trovare il dettaglio nascosto nella ripetizione uniforme del disegno non è immediato neanche per la vista allenata dell’adulto.image
L’idea di giocarci con il mio bambino mi diverte di già.
Vi dirò di più quando lo avrò sperimentato con il piccolo diretto interessato…

Libri meravigliosi

Il piccolo Nicolas. Un libro pop-up.

No, cioè, sì vabbè, mi si attorciglia la lingua perché questo libro pop-up mi si porta via tutti gli ooooooooooh di stupore, quelli corti corti come un singhiozzo, quelli lunghi lunghi come un’ola, me se li porta talmente tutti via che mi finiscono le o dal mio repertorio e c*minci* a parlare senza, e diventa imbarazzante, all*ra zitta zitta mi infil* in un c*rs* di y*ga che là la gente è rilassata e gener*sa e mi freg* qualche oooooooommmmmmmm per recuperare (solo che ora ho un po’ di m in esubero, se vi servono fate un fischio, possono semmmpre servire soprattutto per immmmprecare nei giorni storti).image

Ché questo è davvero un libro mmmeraviglioso.

Ogni pagina un universo che si costruisce sotto i mmmiei occhi, così pieno di dettagli, così pulito nel suo bianco e nero e rosso, che l’occhio si perde tra le linee, scopre segreti nascosti e lascia sfuggire un altro piccolo oh!
Il testo è separato dalle immmagini, mma devo dire la verità, che persa in quella ricchezza, la storia è diventata per mme di ben poca importanza. Tutta la mmia curiosità della primma lettura è stata assorbita dal pop-up e per il testo ci sono tornata più tardi, quando avevo un po’ saziato la foga di vedere cosa si celasse dietro la prossimma pagina.

imageNon è un libro per bimmbi piccoli perché oltre ad essere delicato come ogni pop-up, il piccolo Nicolas è proprio prezioso…
Se vi piace il genere, fatevi questo regalo, da condividere certo con i vostri figli quando riusciranno a gestire il desiderio di strappare tutto con le mmmanine.

È d’uopo una breve presentazione: le petit Nicolas è un personaggio nato nel 1960, conosciutissimo in Francia, creato dall’autore René Goscinny e disegnato da Jean-Jacques Sempé. La particolarità sta nel rappresentare il punto di vista del bambino (di circa 9/10 anni) e non, come più di consueto, del narratore adulto. Uno stile che mi piace molto e di cui farò certamente altri esempi nei miei prossimi articoli.

Le Petit Nicolas : Un livre pop-up in originale in francese, non ne ho trovato la traduzione in italiano, ma solo in tedesco (che vedete nelle foto) e giapponese. Se siete tentati, io non mi farei inibire dall’eventuale limite linguistico perché è tanto il piacere della composizione visiva che la non comprensione del testo in nulla ne diminuisce il piacere.

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