Per un terreno fertile

Korczak. Il diritto del bambino ad essere amato.

Sapeva che sarebbero venuti.

Per l’occasione, fece rammendare i loro abiti migliori. Fece aggiustare strumenti, giocattoli, i loro oggetti di valore. Il giorno del loro arrivo, i bambini della Casa dell’Orfano erano vestiti di tutto punto. Disse ai soldati dell’esercito nazista di lasciare indietro i cani latranti, che avrebbero spaventato i suoi allievi. Disse loro di non usare violenza, perché li avrebbero seguiti senza opporre resistenza. Quel giorno le strade del ghetto di Varsavia si riempirono del suono degli strumenti di un ordinato corteo di bambini bellissimi. La dignità che emanavano furiosamente e la ferita che lasciarono aperta negli occhi di chi li vide, non dovette essere estranea alla rivolta del ghetto del 18 gennaio 1943, cinque mesi dopo.

Arrivati ai binari dove il treno per il campo di sterminio di Treblinka li attendeva, narra la leggenda, un soldato nazista si avvicinò al maestro e gli disse: “Lei no, signor Goldszmit, Lei è stato il mio insegnante all’università, Lei non deve salire sul treno”.

Si tramanda che lui rispose: “S’è forse mai vista una madre che lascia i figli ad uno sconosciuto? Questi 200 bambini, sono i miei bambini”.

E salì con loro. Fine della storia.

Comincio dalla fine, perché qui più che mai altrove, le parole si tramutano in atto d’amore. Korczak (pseudonimo di Goldszmit) lo diceva, non ci si può occupare di un bambino se non lo si ama. 

Amarli sempre e comunque, anche se sono delinquenti: “Create per loro le condizioni affinché possano diventare migliori” (Korczak, Il diritto del bambino al rispetto).

Non li si ama, se non li si considera in tutta la loro dignità di esseri umani.

Non li si ama, se non li si rispetta: 

rispetto per la loro ignoranza, 

per la loro laboriosa ricerca del sapere, 

per i loro fallimenti e le loro lacrime. 

Rispetto per i loro averi. 

Per i misteri e gli scossoni del duro lavoro del crescere. 

Rispetto per i minuti del tempo presente, per ogni minuto che passa, perch’esso morirà e non tornerà più (“ferito, sanguinerà, assassinato, tornerà a tormentare le vostre notti” in Il diritto del bambino al rispetto).

Il rispetto ad avere dei segreti. 

Ad essere quello che essi sono.

La sue parole, la sua storia, sono insegnamenti che affondano radici molto più profonde della banale ricerca di un metodo che funzioni per ottenere figli ubbidienti, bravi e buoni. Vanno a scardinare, come era già successo in me con le parole di Montessori e Juul, la macchina educativa infernale di oggi e di sempre.

Non si tratta di trovare la strategia che pur tratti con gentilezza il bambino, non siamo in guerra. Si tratta di andare a ripulire noi stessi, in fondo a noi stessi liberarci di tutte le limitazioni che ci impediscono di considerare il bambino per quello che è, col rispetto che merita.

“Impara a conoscere te stesso prima di pretendere di conoscere i bambini. Misura i limiti delle tue capacità, prima di fissare quelli dei diritti dei bambini” (Come amare il bambino)

Purtroppo viviamo in un’epoca (ce n’è mai stata una migliore?) in cui affermare semplicemente “col rispetto che merita un essere umano”, non vuol dire molto. Questa è l’epoca nella quale si fanno leggi che rendono reato salvare un naufrago in mare. Nella quale si considera buona cosa avere un’arma nel cassetto, che non si sa mai.

“E’ inammissibile lasciare il mondo nello stato in cui l’abbiamo trovato” (1937)

Come al solito, la vera riflessione pedagogica diventa politica, abbraccia tutto il sistema, non può arrestarsi al cambiamento di un paradigma, ignorando gli altri. Come un’ennesima riforma della scuola, cinta da mura alte. E la società fuori, indenne, impermeabile. Senza macchia di responsabilità.

“Facciamo un bilancio: qual è la parte del PIL che dovrebbe tornare al bambino?” Il diritto del bambino al rispetto

Ma no, il bambino non le paga le tasse.

Eppure nasce col suo bel debito “pro capite”.

“Gli facciamo portare il fardello dei suoi doveri di uomo di domani senza accordargli i suoi diritti d’uomo di oggi”. Come amare il bambino

Nel luglio del 1942, il maestro Korczak invitò la collega Esther a mettere in scena coi bambini della Casa dell’Orfano l’opera “Dak Ghar” (l’ufficio postale) di Rabindranath Tagore. Perché proprio quel testo? Esther faceva resistenza, c’erano tante opere più adatte ai loro protetti. Perché lavorare sulla storia di un giovane con una malattia inguaribile che, chiuso in una stanza, riesce, col potere della sua mente e della sua fantasia, a superare l’angoscia del suo destino?

Il diritto del bambino ad essere amato
foto di Janko Ferlic

Perché tre settimane dopo, i nazisti sarebbero venuti a prenderli per l’ultimo viaggio. Korczak lo sapeva, perché i nazisti stessi l’avevano esortato ad andare via, avvertendolo della loro incombente operazione.

Il suo compito di maestro era in quel momento di prepararli alla morte inevitabile. 

Qual è il compito di un educatore, se non quello di preparare il bambino al suo avvenire?

Al suo, non a quello ipotetico di decenni fa.

I programmi che prepariamo per i nostri bambini sono davvero pensati per loro? 

Sono adatti al loro cuore e alla società che troveranno?

Coltivare la felicità, il senso etico, coltivare la terra, preservare l’anima del bambino e del mondo. Andare avanti spinti dai valori, dall’immagine del mondo che vorremmo per loro, non da un esorabile lasciar-fare, lasciar-dire, lasciar distruggere. Se smettiamo di commuoverci per un essere umano che muore, se smettiamo di sovrapporre empaticamente nostro figlio con un qualsiasi altro fanciullo che soffre, significa che dobbiamo urgentemente fermarci e ricominciare da noi stessi. Adesso. Perché oggi è già ieri e ieri abbiamo già sentito e risentito il silenzio della desolazione dopo la devastazione della violenza.

“Il nostro legame più forte con la vita è il sorriso schietto e radioso di un bambino”.

Per un terreno fertile

Motricità libera e fiducia nelle sue competenze. Per permettere un armonioso sviluppo psico-motorio del neonato.

Emmi Pikler, pediatra ungherese, fonda e dirige nel 1946 l’illustre Istituto Pickler-Loczy (fulcro di scoperte importantissime sullo sviluppo del bambino, chiude nel 2011). In questo luogo venivano ospitati, giorno e notte, bambini dalle poche settimane ai tre anni, privati temporaneamente o definitivamente delle loro famiglie. Consapevoli dei rischi per lo sviluppo e la salute dei neonati che vengono rinchiusi negli istituti, tale istituzione aveva messo in atto sin da subito una serie di pratiche che la renderanno unica e rivoluzionaria, tra cui la costituzione di uno spazio ampio e sicuro, nel quale i piccoli erano liberi di muoversi senza il continuo intervento dell’adulto.

I risultati del lavoro di questa pediatra e dei suoi collaboratori sono illuminanti e vasti. copertina originale pickler copieIn questo articolo mi limiterò a parlare dell’ambito che è stato definito “motricità libera”, a cui la dottoressa Pikler ha dedicato il suo “Per una crescita libera. L’importanza di non interferire nella libertà di movimento dei bambini fin dal primo anno di vita“, a mio avviso, ancora troppo poco diffuso in Italia.

Gli adulti che aderiscono a questo approccio non impartiscono insegnamenti, i neonati sono messi supini, mai in posizione seduta, l’adulto non dà aiuti concreti ma incoraggia il piccolo condividendo la gioia dei successi realizzati, spronandolo all’autonomia e all’indipendenza.

Ciò è nettamente in contrasto con le abitudini più diffuse di bloccare per tante ore il bambino dentro passeggini, seggiolini, box troppo piccoli, girelli che impediscono la sperimentazione e la libertà di movimento. Secondo i principi della motricità libera, non ha senso mettere un bimbo seduto, se non è ancora in grado di mantenere la posizione e di uscirne autonomamente, né di invitarlo a camminare tenendolo in piedi, poiché il suo corpo (probabilmente anche il suo sviluppo cerebrale) non è pronto e questi atteggiamenti creano inutili contrazioni muscolari, lo rendono più insicuro nei movimenti e minano la sua autostima.

Lo scopo della motricità libera è di permettere uno sviluppo armonioso, equilibrato. I neonati imparano tappa dopo tappa, quando sono pronti, alimentando la convinzione di essere competenti.

Nonostante i bambini che seguono questi principi risultino mediamente “in ritardo” nell’acquisizione degli stadi motori, rispetto ai traguardi raggiunti comunemente, l’osservazione e l’analisi hanno mostrato che, rispetto ai coetanei,  godono di una grande mobilità, non sono impacciati nei movimenti, sono più sicuri, hanno una capacità di concentrazione più duratura, un migliore equilibrio muscolare (dovuto alla partecipazione globale di tutta la muscolatura), risultano più capaci di reagire agli “incidenti” e spesso sono in grado di scendere e salire le scale ancor prima di saper camminare.

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Cito Bernard Golse dall’introduzione alla seconda edizione del libro “Loczy : un nouveau paradigme ?“:

I giardinieri dicono che non serve a niente tirare sulle foglie per farle crescere più in fretta… ciò si può probabilmente applicare anche alla crescita e alla maturazione psichica del bambino, che deve venire da dentro, processo endogeno che esige l’incontro con adulti che non forzano, che non funzionano guidati dall’anticipazione ansiosa, ma che si mostrano giusto attenti a farlo progredire con dolcezza, tatto, leggerezza e rispetto della sua propria dinamica. Non si tratta di un elogio della lentezza, ma di un elogio della considerazione delle specificità di ogni singolo bambino, di ogni neonato (…).

Tutti questi principi sono stati esplorati in un contesto istituzionale, ma nulla ci impedisce di applicarli in casa, adattando la camera del bambino o altri spazi abitativi. Il nostro appartamento è molto piccolo e il salone è diventato una specie di sala giochi dove nostro figlio può deambulare senza rischi. Il vantaggio di questa trasformazione è che il piccolo riesce a passare periodi più o meno lunghi giocando da solo o accanto a me mentre io sono parzialmente distratta a fare altro, posso assentarmi per pochi istanti senza apprensione e senza che inizi a piangere, posso seguire passo passo le sue evoluzioni e scoperte adattando di volta in volta l’ambiente circostante. Il rispetto dell’autonomia e della libera motricità del bambino corrispondono alla visione montessoriana dello spazio concepito da Maria Montessori, che invitava a mettere il letto del bambino in terra e giochi alla sua portata per permettergli di scendere, salire, prendere, giocare, senza dover continuamente aspettare l’avvallo dell’adulto.

Sono scelte che comportano a monte una preparazione e uno spirito d’adattamento non indifferenti da parte di genitori ed educatori, ma sono convinta che partecipino alla creazione di un dialogo fondamentale e duraturo tra il bambino e l’adulto, la costituzione di una base solida a livello motorio e psicologico affinché il bambino possa diventare autonomo, sicuro di sé e, lo spero, felice di crescere e di continuare ad imparare. Io ci sto provando. Per saperne di più sulla mia esperienza diretta, appuntamento tra una decina d’anni?

(Immagine in evidenza di Klara Papa tratta da Per una crescita libera).